Se sai motivarmi, imparo meglio. Il ruolo della motivazione nell'apprendimento scolastico

10.02.2018

I giovani non sono vasi da riempire

ma fiaccole da accendere


Da tempo, la psicologia si è mostrata interessata ai risvolti cognitivi, affettivi e motivazionali nei processi di apprendimento ma, solo recentemente, lo studio psicologico della motivazione ad apprendere ha avuto un reale sviluppo.

In particolare, nei primi anni del '900, lo psicologo statunitense E.L. Thorndike pubblicò l'opera "Educational Psychology" attraverso cui, in linea generale, si fa risalire la nascita della disciplina denominata "Psicologia dell'Educazione".

Al fine di comprendere l'importanza della relazione tra motivazione e apprendimento scolastico è fondamentale, prima di tutto, spiegare, seppur molto brevemente, cosa sono questi due costrutti. Viene definito "apprendimento" un processo psichico che consente una modificazione durevole del comportamento nel tempo ed è conseguente all'esperienza, all'esercizio e/o all'osservazione. La "motivazione", invece, è il movente del comportamento; è il "perché"che ci porta ad una scelta, al raggiungimento di un obiettivo.

Intorno ai costrutti "motivazione" e "apprendimento" si sono succeduti diversi studi tra cui quelli sulla "Learning theory", ovvero la Teoria del Rinforzo: affondando le sue radici nel comportamentismo, la teoria del rinforzo fa leva sugli aspetti estrinseci della motivazione. Cosa significa ciò? Significa che l'alunno è motivato ad impegnarsi e ad imparare se la sua motivazione e il suo impegno sono stati precedentemente premiati (attraverso bei voti, regali, complimenti) o, al contrario, puniti ( rimprovero, brutto voto).

Il comportamento viene quindi rinforzato attraverso un rinforzo che può essere positivo o negativo: rinforzando positivamente l'allievo, si aumenta la probabilità che un certo comportamento si ripeta; al contrario, un rinforzo negativo aumenta la probabilità di far estinguere quel tipo di comportamento.

Un rinforzo, per essere motivante, deve essere:

  • Contingente alla prestazione, quindi presentarsi subito dopo l'accaduto,
  • Specifico, quindi relativo ad un determinato aspetto della prestazione,
  • Credibile, quindi non bisogna contraddirsi con atteggiamenti non verbali,
  • Appropriato, cioè dato quando l'obiettivo è stato realmente raggiunto.

Al contrario, un rinforzo può demotivare l'alunno quando:

  • Non si fa caso al suo impegno ma si pone l'attenzione sulla nostra approvazione. Frasi come "bene, finalmente hai fatto ciò che ti ho detto di fare. Ora sono fiera di te!" mettono noi adulti in primo piano, i nostri desideri, le nostre approvazioni ma non l'impegno del ragazzo.
  • Lo si paragona a qualcuno. Ogni alunno è diverso dall'altro: hanno doti diverse, esperienze diverse,caratteri diversi, modi di vedere il mondo diversi. Talvolta possono essere simili ma comunque diversi. Dire "A me non importa del voto ma il tuo è il più basso della classe!" oppure "Hai fatto tutto il compito ma il tuo compagno di banco è sempre più bravo di te" demotiva lo studente in particolare se si era impegnato nello svolgimento del compito.
  • Si premia tutti, a prescindere dai risultati. Allo stesso modo, si demotiva quando, nonostante il buon risultato, si lodano solo alcuni.

La teoria del rinforzo è molto semplice da applicare ed è proprio per questo che si usa molto. D'altro canto, proprio perché si motiva l'alunno ad apprendere tramite un rinforzo esterno, la teoria del rinforzo è molto criticata.

La critica viene posta in quanto bisognerebbe far sviluppare nello studente una motivazione non estrinseca, come abbiamo appena visto, ma intrinseca: la motivazione nasce da cause interne, in particolare dal bisogno di conoscenza e di successo, e permette allo studente di far sperimentare un senso di benessere e soddisfazione quando riesce a raggiungere lo scopo che si era prefissato.

Ma come si fa a far sviluppare una motivazione intrinseca? Berlyne sostiene che è fondamentale far incuriosire attraverso la novità e la complessità dell'ambiente e chiama la sua teoria "Teoria della curiosità Epistemica". Sotto quest'ottica, le esperienze di successo e insuccesso hanno un ruolo importante: un alunno che viene motivato ad esplorare e sperimentare sarà più propenso a sviluppare una motivazione che non ha come scopo quello di ricevere un premio bensì quello di conoscere. Dal momento che il ragazzo si sente competente, la motivazione ad imparare sarà sempre maggiore. Al contrario, un alunno che non viene incoraggiato nei suoi tentativi di esplorazione e padronanza, svilupperà la paura di fallire e di essere incapace: questo atteggiamento farà sperimentare all'allievo ansia, paura, timore di sbagliare e di essere incompetente e, quindi, tenderà ad evitare situazioni in cui ha paura di non essere "all'altezza".

Per concludere, quindi, possiamo dire che la motivazione estrinseca ha come obiettivo quello di ricevere premi e di evitare una punizione: l'alunno è spinto ad imparare perché sarà gratificato. Il fallimento, però, verrà avvertito come senso di incapacità e, di conseguenza, tenderà a scegliere compiti più facile ed eviterà situazioni in cui teme di fallire. Ciò può portare l'alunno a sviluppare una competitività verso il mondo esterno. La motivazione intrinseca, al contrario, mette sotto ai riflettori l'importanza di imparare per aumentare le proprie competenze e conoscenze e il fallimento non è altro che il risultato di una mancanza di impegno: in quest'ottica l'alunno è motivato ad apprendere non per cercare approvazione né per ricevere premi. Sfida se stesso per apprendere di più, per imparare cose nuove aumentando, inoltre, la collaborazione priva di qualsiasi forma negativa di competizione.

Dott.ssa Martina Iannuzzi P.IVA 14319411006 
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